Questo libro mi è stato gentilmente prestato da Stefano, che durante una chiacchierata davanti alla macchinetta del caffè ha fatto riferimento alla "Fortezza Bastiani", ma non trovando una mia pronta risposta mi ha chiesto "ma come non hai letto Il deserto dei Tartari?".
E così la mattina seguente sulla mia scrivania c'era il romanzo di Dino Buzzati.
Il libro è davvero bellissimo e sale immediatamente in vetta alla mia classifica personale, diciamo almeno sul podio. La scrittura magistrale dell'autore bellunese porta inspiegabilmente il lettore a divorare una pagina dopo l'altra, quasi non accorgendosi del tempo che passa... esattamente come accade al protagonista del racconto.
Aggiungo solo il commento (che è assolutamente perfetto) di una mia amica:
"forse questo libro piace a tutti, perchè tutti un po' si rivedono in questo libro".
La trama:
Giovanni Drogo, che arriva alla Fortezza convinto di ripartirne subito, si trova avvinto, immediatamente, dalla sua malia: è sicuro di sé, sa di avere tutta la vita davanti, di poterne disporre a suo piacimento, aspettando la grande occasione. Avverte subito, tuttavia, una contraddizione ragione/cuore: la prima gli fa desiderare di andar via, convincendolo che nulla di buono verrà da quel confine, il secondo continuerà a presentire, fino alla fine, «cose fatali». Così Giovanni si adatta alla vita della Fortezza, consegnando nelle mani della Disciplina militare, sempre uguale, sempre regolare, la propria esistenza. Trascorreranno quindici anni prima che egli inizi a rendersi conto che il tempo è fuggito, prima che riesca ad individuare, a ritroso, perfino l'attimo esatto in cui la giovinezza gli è sfuggita di mano: «la prima sera che fece le scale a un gradino per volta».
Da quel momento tutto diviene troppo veloce, per giungere alla fine di tutto, all'amara constatazione che la vita stessa sia stata «una specie di scherzo»: mentre, infatti, i tartari, tanto attesi, attaccano davvero, Giovanni Drogo, minato da una grave malattia, è costretto a lasciare la Fortezza per andare a morire, da solo, in un'anonima stanza di locanda, in città. Ma non è nella disperazione che muore : superata, infatti, la rabbia, la delusione, la tentazione di rinnegare tutta la sua vita, egli si convincerà che la Missione Suprema è proprio quella che sta affrontando: la morte «esiliato fra ignota gente», solo ed abbandonato.
5 commenti:
Ho letto solo alcune parti de Il deserto dei Tartari, che mi riprometto però di leggere interamente. Di Dino Buzzati conosco La boutique del mistero, una raccolta di racconti dei quali ho ritrovato temi e motivi ne Il deserto dei Tartari. Ricordo un racconto, Ragazza che precipita, che rappresenta la vita con l'immagine di una giovane che spicca un salto dalla cima di un grattacielo: i primi piani che attraversa offrono visioni di feste, luci, gente elegante che invita la ragazza a fermarsi; poi, man mano che la discesa procede, gli ambienti si fanno sempre più dimessi, le persone più cupe, le atmosfere più grigie e pesanti. Una metafora della fugacità della giovinezza e della vita. Un altro motivo che ho trovato in vari racconti -per me il più suggestivo- e che ricorre nel Deserto dei Tartari è quello delle speranze che scendono dal settentrione: il nord come simbolo del mistero e quindi degli imprevisti e delle novità, positive e negative, che porta la vita.
@chiara.n: che bello Chiara trovarti sul blog!
@giò: complimenti ancora per i tuoi post culturali...ho letto questo libro al liceo e all'epoca non sono riuscita a coglierne la bellezza di cui parlate...di sicuro lo rileggerò. Allora forse non avevo l'età e la testa per apprezzarlo...Ciao!
ho letto anche io la "Boutique del mistero" ai tempi del liceo: Dino Buzzati mi è sempre piaciuto per lo stile piacevole e brillante
per coloro che, dopo essersi identificati in Giovanni Drogo, volessero leggere la biografia di qualcuno che ce l'ha fatta... "Infedele", Ayaan Hirsi Ali
concordo con Chiara: secondo me il libro (e Buzzati in generale) si apprezza di più nell'età dei bilanci...
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